lunedì 7 novembre 2016

Peeling ed esfoliazione chimica: cosa è? funziona? quale acido scegliere?

Peeling ed esfoliazione chimica: cosa è?  funziona? quale acido scegliere?

Peeling ed esfoliazione chimica: cosa è? funziona? quale acido scegliere?

 

Il peeling chimico e più genericamente l’esfoliazione è il trattamento di eccellenza per ridurre i segni dell’invecchiamento. Viene poi sfruttato, più o meno propriamente, anche per altri inestetismi e problemi cutanei: discromie, esiti cicatriziali, smagliature e per disturbi cutanei anche gravi: acne, ictiosi, rosacea ecc..
L’esfoliazione può realizzarsi con varie tecniche ed il peeling acido è solo una delle possibili procedure. C’è l’esfoliazione meccanica ( microdermoabrasione, ablatori ultrasonici, scrub, frizioni, gommage ma anche il radersi tutte le mattine) quella “termica” ad esempio con il laser, e quella chimica con agenti non acidi ( fenoli, urea ecc.. ).
Il peeling viene classificato con criteri abbastanza spannometrici in
  • Peeling leggero o superficiale
  • Peeling medio
  • Peeling profondo
in funzione della risposta cutanea all’agente caustico.
In particolare il confine tra un peeling leggero ed uno medio è abbastanza arbitrario e molti offrono trattamenti definendoli “medio-leggeri” per risolvere la faccenda. Nonostante le centinaia di pubblicazioni scientifiche sulla materia se dovessi dire la profondità ed il livello di interessamento dei diversi strati cutanei che caratterizzano un tipo di peeling anziché l’altro disegnerei una mappa dai confini molto sfumati.
Il peeling chimico può rimuovere diversi strati cutanei: qualche corneocita superficiale, l’intero strato corneo, l’epidermide, la zona di Grenz, derma papillare, derma reticolare fino alla completa liquefazione del derma.
La diversa profondità dipende dalla forza acida, dalla biodisponibilità dell’agente caustico, dalla concentrazione iniziale, dal tempo di esposizione, dalla presenza di permeabilizzanti cutanei e dalle procedure di applicazione.
Le procedure professionali prevedono che l’acido venga neutralizzato vari minuti dopo l’applicazione e questo comporta che lo stesso prodotto, a parità di concentrazione e pH, possa dare risultati molto diversi ed anche reazioni avverse, in funzione di quanto tempo è rimasto in posa prima della neutralizzazione.

pH, pKa, Massa Molecolare e LogKow

pH, pKa, Massa Molecolare e logKow sono sigle e paroloni complicati per spaventare chi con la chimica ci ha sempre fatto a cazzotti e le ha anche prese di santa ragione.
Ma volendo capire tra i diversi acidi cosa fanno e perché non si utilizza il vetriolo per far andar via le rughe qualche dato un po’ più tecnico lo devo utilizzare.
pH e pKa (costante di dissociazione acida, il p davanti al Ka denota l’utilizzo della scala logaritmica) sono fattori strettamente connessi tra loro e connessi al concetto di acidità. Entrambi sono più bassi più è “forte” l’acido ed essendo logaritmi in base 10 un acido con pKa uguale a 2 è 100 volte più acido di quello con pKa uguale a 4. L’acidità sembra sia la cosa più facile da definire visto che è un fenomeno percepito dall’uomo prima che avesse una qualunque cognizione di chimica. In realtà proprio i chimici hanno complicato un po’ la faccenda definendo la acidità con diversi modelli: la capacità di dissociarsi, la capacità di cedere uno ione H+, oppure la capacità di ricevere un doppietto elettronico. Ma anche la capacità di creare legami idrogeno intramolecolari e gli effetti di risonanza, induttivi o elettrostatici possono influenzare notevolmente l’acidità, cioè la forza dell’acido.
L’acidità è relativa e visto che la superficie cutanea è già acida di suo con un pH che va da 4,5 a 6, se applico su una pelle a pH 4,5 un prodotto a pH 5 questo non si comporta come “acido”.
Gli altri 2 fattori: Peso, più correttamente “massa”, molecolare e logKow (coefficiente di ripartizione tra ottanolo e acqua, cioè se è più solubile in acqua o in un lipide), sono fattori strettamente connessi alla capacità di penetrare i diversi strati della pelle.
Sono acidi non forti, quindi non si dissociano completamente in acqua, ma sono comunque agenti caustici se non vengono neutralizzati cioè legati ad una base con cui formano un sale.
I sali formati dagli acidi esfolianti non hanno una rilevante azione esfoliante, così come il cloruro di sodio (sale da cucina) non ha gli effetti caustici dell’acido cloridrico e dell’idrossido di sodio da cui si è formato. Una volta applicati sulla pelle il comportamento dei sali formati da acidi esfolianti dipende dalla base. I sali con cationi metallici, come sarebbe un acido glicolico neutralizzato con idrossido di sodio, si dissociano più facilmente e riducono la biodisponibilità. Inoltre il potenziale irritativo di acidi esfolianti neutralizzati con basi forti è normalmente più alto di quelli neutralizzati con basi deboli. Molto interessante l’utilizzo di DMAE o Arginina per neutralizzare gli acidi esfolianti. Nelle formulazioni dei peeling chimici si considera biodisponibile la quota di acido non dissociato, chiamata anche “acido libero”. Per semplificare la valutazione di quanto il pH del prodotto influenzi la biodisponibilità dell’acido esfoliante basta ricordare che se il pH è uguale alla pKa il 50% dell’acido è libero. Quindi in una formulazione con il 10% di acido lattico con pH = 3,86 la concentrazione di acido lattico biodisponibile è solo il 5%.

Perché funziona?

L’azione del peeling chimico si può considerare come una combinazione di un effetto distruttivo, che va dalla desquamazione alla denaturazione o liquefazione e necrosi dei tessuti con cui viene a contatto, ed un effetto stimolante sui fisiologici meccanismi di rigenerazione e riparazione cutanei.
La concentrazione di acido libero applicata sulla pelle è determinante perché questo possa agire prima di essere neutralizzato dalla pelle stessa. Concentrazioni basse (es. 1%) di acido libero, anche di un acido più forte, comportano una esfoliazione molto superficiale in quanto il prodotto viene neutralizzato dagli strati più superficiali della pelle.
Modello di come si indebolirebbero i legali fra le cellule
La desquamazione degli strati più superficiali si ipotizza sia dipendente dall’indebolimento delle giunzioni che legano tra loro le cellule. Si ipotizza un specifica interposizione nei desmosomi che spiegherebbe la desquamazione prodotta da un “qualunque” acido in grado di cedere protoni.
Sui cheratinociti, solo recentemente, una ricerca ha individuato come sia possibile anche l’acidificazione intracellulare grazie alla attivazione dei canali TRPV3. Questo modello spiegherebbe alcuni degli effetti del peeling chimico sia in termini di morte cellulare sia in termini di modulazione e segnale verso la produzione di nuovo collagene e glucosamminoglicani o di degradazione delle MMP.
I percorsi biochimici per cui l’esfoliazione chimica stimolerebbe la cheratinizzazione e la produzione di collagene e glucosamminoglicani non sono ancora compresi. Oltre al “normale” segnale fisiologico che verrebbe da una riduzione dello spessore dello strato corneo si è ipotizzato un ruolo di alcuni derivati degli acidi esfolianti, gli o-acetili, o di una ancillare azione anti-ossidante o chelante degli acidi.


Il frost

Oltre al meccanismo per cui gli acidi possono compromettere/denaturare le proteine dei desmosomi con lo ione H+ che si attacca ai gruppi (-NH-) , alcuni acidi possono modificare la struttura secondaria e terziaria delle proteine. È il fenomeno della coagulazione delle proteine indotta dagli acidi, facilmente visibile mettendo del succo di limone nel latte. Anche la keratina della pelle con peeling più forti può coagulare.
Il fenomeno si chiama FROST ed è ben visibile utilizzando l’acido tricloroacetico.
Frost puntiforme, a macchieFrost continuo, a nebbia, traspare il rosa della pelleFrost continuo, a smalto, non traspare il rosa della pelle
Il frost si può formare in tempi brevissimi dopo l’applicazione ed è estremamente utile per il professionista che deve valutare la risposta soggettiva e la “profondità” del trattamento.

Gli acidi

Molta confusione e tanto marketing influenzano la comunicazione sugli acidi utilizzabili per un peeling.
L’enorme business dei trattamenti antiage, ma anche di quelli medicali, spinge a comunicare a volte in modo fuorviante le caratteristiche dei prodotti.
La stessa definizione di β-idrossiacido attribuita all’acido salicilico non è corretta, la posizione dei gruppi attaccati ad un anello benzenico dovrebbe essere descritta da numeri, non da lettere greche come si fa nelle posizioni dei gruppi alifatici.
Quasi sempre viene specificata la concentrazione di acido senza indicare la effettiva concentrazione di acido libero. Il comportamento di un 10% di acido libero è molto diverso da un 10% di acido neutralizzato, anche solo parzialmente, da una qualche base.
Per differenziarsi o per soddisfare nel consumatore o nel professionista la domanda di novità, si presentano nuove molecole, nuovi acidi, o nuove miscele di cui i vantaggi rispetto agli acidi esfolianti più conosciuti ed utilizzati sono tutti da dimostrare.

acido glicolico


Inci: GLYCOLIC ACID
MW:76,05
pKa:3,83
logKow:-1,11
Il più diffuso e comune acido esfoliante nell’utilizzo cosmetico. Idrosolubile, si diffonde lentamente attraverso lo strato corneo, ma una volta penetrato, per la massa relativamente piccola, raggiunge più rapidamente anche gli strati profondi. In una soluzione al 10% a pH=3 la concentrazione di acido libero è pari al 8,71% l’esfoliazione prodotta è normalmente molto superficiale e anche senza rimuovere il prodotto la probabilità di reazioni irritative è relativamente bassa.
A concentrazioni più alte e pH inferiori comunque tende a non coagulare le proteine e tipicamente non si presenta il frost.

acido lattico


Inci: LACTIC ACID
MW: 90,08
pKa: 3,86
logKow: -0,72
L’acido lattico ha massa, pKa e solubilità molto simili a quelli dell’acido glicolico, in più ha un costo inferiore e una maggiore compatibilità dermica. È uno degli acidi che acidifica naturalmente la superficie cutanea. Ciò nonostante non ha avuto il successo commerciale dell’acido glicolico al quale è stato normalmente associato in molti prodotti cosmetici. Varie ricerche segnalano una risposta irritativa inferiore a quella di analoghi prodotti a base di acido glicolico, ma un prodotto con acido lattico al 50% e pH 1,2 ( praticamente tutto acido libero ) deve essere rimosso/neutralizzato dopo pochissimi minuti proprio come se fosse acido glicolico.

acido salicilico


Inci: SALICYLIC ACID
MW: 138,12
pKa: 2,97
logKow: 2,61
Si tratta di un acido fenolico noto ed utilizzato da oltre un secolo per l’esfoliazione. Fu Kligmann a classificarlo erroneamente come β-idrossiacido e da allora dermatologi, cosmetologi e farmacisti ripetono l’errore. L’anello fenolico con la sua risonanza e la prossimità del gruppo ossidrile al gruppo carbossilico fanno si che sia un acido più forte degli α-idrossiacidi descritti prima. Ma ha anche una massa maggiore ed è poco solubile in acqua. I prodotti che lo contengono ad alte concentrazioni in genere lo dissolvono in miscele di acqua, alcohol e glicole. È anche solubile in olio e nei lipidi cutanei questo comporta che possa penetrare facilmente lo strato corneo e l’interno dei dotti sebacei.
Grazie all’anello benzenico è anche un buon antimicrobico per questo è comune il suo utilizzo nei trattamenti antiacne anche a concentrazioni blandamente esfolianti. Essendo poco solubile in acqua la sua cinetica nella pelle comporta un accumulo, effetto reservoir, nello strato corneo ed una diffusione più lenta negli strati inferiori. Con l’obiettivo di rallentare la penetrazione ed aumentare l’effetto reservoir sono stati sviluppati per l’industria cosmetica derivati maggiormente liposolubili, in L’Oreal chiamati lipoidrossiacidi, come il CAPRYLOYL SALICYLIC ACID. In un prodotto con acido salicilico al 30% e pH di 1,7 è quasi totalmente indissociato e può produrre sulla pelle un effetto simil-frost, con una patina bianca dovuta al precipitato.

acido mandelico


Inci: MANDELIC ACID
MW: 152,12
pKa: 3,41
logKow: 0,62
Sembra una via di mezzo tra glicolico e salicilico. Solubile in acqua 90 volte più del salicilico, più forte del glicolico ma non forte quanto il salicilico. Lanciato puntando molto sul nome evocativo, come se chiamandosi mandelico fosse ottenuto spremendo le mandorle, è un buon compromesso per sostituire le tradizionali miscele di acido glicolico/lattico e salicilico.
In un prodotto che dichiara di contenere l’acido mandelico al 15% ed ha pH uguale a 3 la concentrazione effettiva di acido libero è del 10,8%

acido piruvico


Inci: PYRUVIC ACID
MW: 88,06
pKa: 2,5
logKow: -1,24
Non è un idrossiacido. È solubile in acqua, è molto più forte dell’acido glicolico ed anche del salicilico. Con una Massa molto piccola e un buon profilo tossicologico avrebbe potuto sostituire brillantemente l’acido glicolico. Peccato sia decisamente instabile ed al semplice contatto con l’aria reagisca con l’ossigeno formando acido acetico e CO2. I primi prodotti che lo contenevano in flaconi plastici nel tempo si gonfiavano come palloncini. Risolto qualche problemino di stabilità è particolarmente efficace e non risente delle eventuali restrizioni dettate per gli idrossiacidi.
In un prodotto che dichiara di contenerne il 20% ed ha pH uguale a 3 la concentrazione effettiva di acido libero è del 4,81%.

acido lattobionico


Inci: LACTOBIONIC ACID
MW: 358,29
pKa: 3,8
logKow: -4,46
Si tratta di un poli-idrossi acido con 9 donatori idrogeno. Solubile in acqua e fortemente igroscopico. Per la massa relativamente alta e per come reagisce con l’umidità agisce più sulla superficie cutanea che penetrando e può indurre solo una esfoliazione molto leggera. Ha la caratteristica di comportarsi sia come un buon chelante che come un discreto antiossidante e tende a produrre una sottile pellicola superficiale una volta applicato. Per queste caratteristiche ha trovato un impiego per proteggere durante il trasporto gli organi necessari per un trapianto. Con una acidità analoga a quella dell’acido glicolico ma con una minor capacità di diffondersi penetrando la cute tende a produrre minori irritazioni a fronte di peeling meno profondi.
In un prodotto che dichiara di contenerne il 10% ed ha pH uguale a 3 la concentrazione effettiva di acido libero è del 8,63%.

acido tricloroacetico


MW: 163,28
pKa: 0,66
logKow: 1,66
Non è un idrossi acido ed il suo utilizzo è proibito nel cosmetico europeo. Solubilissimo in tantissimi solventi compresa l’acqua, ma tecnicamente è più solubile in olio che in acqua comportando una capacità di diffusione nei diversi strati cutanei estremamente alta. È l’acido esfoliante più forte con una capacità di dissociarsi anche 1000 volte superiore agli acidi precedenti. Gli elettroni sono fortemente attratti dai 3 atomi di cloro e lo ione H+è più libero di farsi un giretto nella soluzione. A concentrazioni di acido libero superiori al 10% ( ma in alcuni soggetti la soglia è anche inferiore al 8% ) può presentare il frost.
Viene normalmente utilizzato diluito e non neutralizzato o parzialmente neutralizzato con perossido di idrogeno. In ogni caso, grazie all’evolversi del frost il professionista può verificare la profondità dell’azione. Neutralizzando la soluzione, per alzare il pH e ridurre la risposta irritativa o per non produrre il frost, si riduce drasticamente la concentrazione di acido biodisponibile. Una soluzione al 30% (w/v) con pH uguale a 1,5 contiene solo un 3,79% di acido libero. Per la sua “potenza” è l’ingrediente tipico per eseguire peeling in grado di ridurre anche rughe profonde, ma a basse concentrazioni con tempi di esposizione brevi può essere utilizzato anche solo per dei peeling superficiali con un rischio di reazioni avverse analogo a quello dipendente dall’utilizzo di acidi molto meno forti.

Efficacia e reazioni avverse

Sono agenti caustici, selezionati e formulati per modulare un effetto desquamante/distruttivo sulla superficie cutanea. Pensando ad un pH comunque inferiore a quello cutaneo (4,5 ÷ 6) se il pH è superiore alla pKa la biodisponibilità dell’acido è relativamente bassa e negli acidi con più ossidrili si può parlare di una azione idratante predominante su quella desquamante, appena rilevabile. A pH inferiore a 3 e concentrazioni superiori al 10% è normale nella maggioranza dei soggetti una risposta irritativa con eritema. L’azione stimolante sulla produzione del collagene pare emergere anche a pH appena inferiori (- 0,5) al pH cutaneo anche se è comunque dipendente dalla concentrazione di acido libero. Più l’esfoliazione è profonda, più si compromette la barriera cutanea ed alcuni trattamenti richiedono che sia applicata, per molti giorni dopo, una protezione. Sia riducendo lo spessore degli strati superficiali, sia attraverso altri percorsi biochimici tutti i peeling chimici rendono la pelle più suscettibile ai danni che possono arrecare gli ultravioletti. Già lo shock chimico può innescare la formazione di iperpigmentazioni se poi ci si sommano gli ultravioletti, anche vari giorni dopo il peeling, il rischio si innalza notevolmente.
L’utilizzo dei peeling chimici per ridurre le macchie cutanee è controverso; la riduzione dello spessore degli strati superficiali può effettivamente ridurre la visibilità di una macchia cutanea, ma non si può garantire che, nel quadro delle risposte soggettive al trattamento, dopo qualche tempo la macchia non si riformi, magari anche più intensa o estesa. Diverso il discorso se il trattamento prevede l’abbinamento degli agenti caustici a sistemi depigmentati efficaci. Comunque ho visto più macchie cutanee “prodotte” da peeling chimici che macchie cutanee ridotte da peeling chimici.
Nel trattamento delle pelli impure/acneiche l’efficacia è ampiamente documentata.
Nel trattamento delle rughe la profondità del peeling deve essere commisurata alla profondità delle rughe che si vuole “ridurre”.
Il trattamento delle elastosi e dei tessuti “cadenti”, anche se è indiscutibile una azione astringente delle formulazioni acide, dà risultati controversi.

Conclusione

L’efficacia dei peeling chimici nel migliorare la struttura e aspetto della pelle (rughe, ictiosi ed altre manifestazioni simili ) è ampiamente documentata. Altrettanto ben documentata l’efficacia sulle pelli acneiche. L’equilibrio tra l’accelerare la desquamazione e stimolare la cheratinizzazione può essere raggiunto sia con peeling molto leggeri ripetuti quotidianamente, sia con peeling molto più intensi e profondi e lunghi tempi di “recupero”.
Solo peeling abbastanza “forti” e profondi possono modificare segni cutanei profondi.
Molti cosmetici che vantano una azione esfoliante contengono acidi a concentrazioni biodisponibili talmente basse da produrre una esfoliazione irrilevante. Il mercato offre decine di prodotti per peeling con formulazioni più o meno complesse, la maggioranza è basata su ingredienti noti e “collaudati”.
Tutti gli acidi normalmente utilizzati hanno un buon profilo tossicologico, a parte qualche perplessità sull’acido salicilico, per il rischio sensibilizzazioni ai salicilati.
La modulazione dell’azione caustica in modo che il “danno” sia limitato e controllabile dipende dal prodotto e dalla competenza del professionista.
Purtroppo le indicazioni più comuni, relative alla concentrazione dell’acido sono fuorvianti. La tendenza è quella di pubblicizzare una concentrazione alta senza specificare quanto acido è biodisponibile e quanto invece è stato neutralizzato. La concentrazione di acido biodisponibile è un dato ricavabile solamente conoscendo la concentrazione iniziale, la costante di dissociazione e il pH finale del prodotto.


Rodolfo Baraldini

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